Il filosofo ottocentesco Ludwing Feuerbach, affermava: “Siamo ciò che mangiamo”. Quanti, prima e dopo di lui hanno detto le stesse cose, ma questi insegnamenti hanno servito?
Malnutrition in the minds of plenty (malnutrizione nel pieno del superfluo)
Questa frase indica come la gente mangia in America, la stessa cosa sta succedendo da noi.
Queste non sono una novità:
Molti anni fa un papiro egiziano riportava:
Un quarto di ciò che mangiamo ci serve a vivere, gli altri tre quarti servono a far vivere i medici
La maggioranza della gente ingurgita una montagna di cibo però non si nutre.
Per noi Vegetariani nutrirsi vuol dire consumare dei cibi gustosi, invitanti, profumati, che abbiano la capacità di intrattenere nel nostro insieme fisico – mentale i caratteri uguali alla nostra natura originaria. Questi alimenti devono possedere le proprietà: nutritive, energetiche e ricostituenti, di modo che il loro ruolo profilattico – terapeutico ci forniscano quelle sostanze necessarie ai nostri processi vitali, e che abbiano un’azione specifica nel nostro organismo nella lotta contro le malattie.
MANGIARE: osserviamo un pasto-tipo, che rispecchia le abitudini della maggior parte delle persone.
Primo pasta bianca condita
Secondo carne
Contorno patate o verdure o spesso niente
Formaggio
Frutta a volte
Dolce molte volte
Acqua o vino o birra e in molte tavole solo bibite come coca cola aranciata ecc. ecc.
Caffè
Un pasto così non è un nutrimento, ma un insieme di sostanze micidiali per il nostro organismo. Non dimentichiamo che il 60% dei ricoveri ospedalieri è causato da cattiva alimentazione.
Questo pasto-tipo assieme al resto del cibo della giornata, causa una introduzione di circa 1000 calorie in più a testa, con una spesa di soli 35.000 miliardi di vecchie lire annui (i dati si riferiscono al 1986 e sono dell’Istituto Nazionale di Nutrizione ricerche più recenti non ne ho trovate ma non dovrebbero discostarsi molto). Il risultato molte “pance piene” di cibi scarsi di principi nutritivi di cui il nostro organismo necessita. Oltre ai 35.000 miliardi, bisogna aggiungere anche le spese sanitarie per cercare di curare le conseguenze di questa cattiva alimentazione. Le sofferenze fisiche causate da questa situazione di solito interessano solamente chi le subisce. Negli ultimi cinquant’anni, c’è stato un cambio alimentare molto brusco, si consumano meno verdure, olio extra-vergine, cereali integrali e legumi, mentre sono invece aumentati considerevolmente i consumi di carne, cereali bianchi, burro e zucchero. Una volta c’era una dieta della quale tutti ne parlano: la dieta mediterranea. Purtroppo per molti, negli anni passati, non era dieta, ma fame. Infatti le principali cause di morte di allora erano malattie dovute a scarsa alimentazione, in questo modo regnavano le malattie di tipo infettivo. Un banale morbillo o una pertosse diventavano deleteri per i bambini. L’organismo di questi bambini non essendo sufficientemente nutrito non aveva l’energia per potersi difendere, per cui soccombeva facilmente. Ora il benessere ha portato molto cibo, ma è cibo senza vitalità, e le cause di morte sono cambiate, ora sono di tipo degenerativo: cardiovascolari, tumori, ecc. Il 35% delle neoplasie (tumori) sono di causa alimentare.
Ci stiamo avvicinando in modo drammatico alla situazione americana dove un terzo della popolazione è obesa. Oltre all’obesità stiamo anche ricevendo tutte le conseguenze che ne derivano. La maggior parte dei grandi obesi americani sono cittadini che hanno un reddito basso. Queste persone per alimentarsi acquistano i cibi al minor prezzo (cibi a norma di legge però) che sono senza quella vitalità di cui l’essere umano cerca, per cui continuerà a mangiare affannosamente cercando questi nutrienti, che però non trova, con il risultato di diventare obeso. Anche l’Italia si sta avvicinando alle statistiche americane.
A causa di un eccesso di grassi e di sali di calcio le arterie si incrostano e si formano le placche (ateromi), già queste sono presenti nei bambini di 10 anni; non dimentichiamo che 25 bambini su 100 tendono all’obesità. Queste placche, che si riscontrano nelle autopsie, si fanno sempre più grosse e spesse, il sangue non riesce più a passare e si ha l’infarto, o le altre malattie di tipo cardiocircolatorio.
L’eccesso di grassi, inoltre, rallenta la digestione.
L’eccesso proteico crea disturbi al fegato e ai reni.
La realtà più sconcertante la troviamo nelle strutture che dovrebbero curare le persone affette da qualche malanno, in parole povere gli “ospedali”.
A noi tutti è successo di visitare una persona ricoverata in queste strutture, oppure esserci come ospiti così abbiamo avuto l’occasione di essere presenti alla distribuzione del pasto.
In questo “rito” la cosa più importante, dove non si transige in nessuna maniera è l’“igiene”. Il personale addetto sembra dover affrontare un viaggio spaziale “inter galattico”.
In quel “cibo” non ci deve essere nessun battere, nessun virus, tutto deve essere sterilizzato, tutto deve essere “morto”.
Il nostro organismo invece convive con miliardi di batteri e anzi questi sono indispensabili per mantenerlo in armonia.
Il titolo di una ricerca scientifica pubblicata nel 1998 è eloquente: “Dateci oggi i nostri germi quotidiani”. Il riassunto di questo lavoro: “le moderne vaccinazioni, la paura dei germi e l’ossessione per l’igiene stanno deprivando il sistema immunitario delle informazioni-chiave dalle quali esso dipende. Ciò non permette di mantenere il corretto equilibrio citochimico e una buona armonia della regolazione delle cellule T e potrebbe portare ad un aumento dell’incidenza delle allergie e delle malattie autoimmunitarie. (qui viene il bello) Se l’uomo continua a deprimere il proprio sistema immunitario dagli input ai quali l’evoluzione lo ha adattato, potrebbe essere necessario escogitare modo per riequilibrarlo artificialmente (inventando nuovi farmaci invece di rimuovere i problemi).
Da tenere presente che “il pasto” che viene servito in ospedale è a norma di legge. Dobbiamo chiederci chi ha fatto la legge e come questi considera l’alimento, con una visione “scientifica” studiata, ma su materiale “morto”, oppure con una saggia visione di “cibo vitale”, per cui vivo?
Questa è la realtà dei nostri giorni, l’importante è conoscerla, in questa maniera ci si può difendere.
L’ospedale, normalmente, per il servizio mensa indice un “appalto al ribasso”, che non tiene conto della vitalità degli alimenti, della freschezza e di tutto quell’aspetto profondo che il cibo deve fornirci per mantenerci integri oppure aiutarci a guarire. La ditta che vince la gara di conseguenza fornirà del “cibo a norma di legge”, come da appalto e non si preoccuperà del resto.
Praticamente chi è “responsabile” della nostra integrità e della nostra salute è il primo che non se ne preoccupa.
Scegliere un’alimentazione più genuina e intelligente porta solo a una migliore salute sia fisica che mentale e a un notevole risparmio monetario, in modo particolare per le cure mediche, che così non servono.
Per fare un esempio concreto: una volta gli anziani erano i saggi, mantenevano in se le conoscenze e le esperienze della vita e così potevano passare ai giovani questo bagaglio di informazioni, ora, nella maggior parte gli anziani sono arterio/sclerotici.
Questo processo di “indurimento” arterioso (e cerebrale) è nella maggior parte delle volte il risultato di un’alimentazione esagerata e sbilanciata.
Obesità, arriva quella da crisi (Ansa 30/09/2008)
– ROMA –
Arriva l’obesità da crisi economica, con i carrelli della spesa sempre più poveri, nei quali i cibi sono sempre più economici e ricchi di grassi. “L’alimentazione meno costosa va spesso a discapito della qualità e cercare di spendere meno può paradossalmente portare a ingrassare”, ha osservato il presidente dell’Associazione italiana di dietetica e nutrizione clinica (Adi), Giuseppe Fatati, presentando a Roma l’Obesity Day, in programma per il 10 ottobre. Con porte aperte dei servizi di dietetica dell’Adi (www.obesityday.org), sarà la giornata dedicata a prevenzione e cura dell’obesità, un problema in deciso aumento in Italia. Secondo i dati più recenti disponibili, quelli del Progetto Cuore dell’Istituto Superiore di Sanità (Iss), è obeso il 18% degli uomini e il 22% delle donne. Più colpito il Sud (19% e 31%). Tra le cause, secondo Fatati, la cattiva alimentazione è ai primi posti, insieme con uno stile di vita sedentario. Nei “nuovi” carrelli della spesa – ha aggiunto – diminuiscono gli alimenti tipici della dieta mediterranea: “Calano i consumi di frutta, verdura e olio d’oliva” e aumentano i cibi confezionati, più ricchi di grassi e zuccheri. Per gli esperti, è comunque possibile spendere meno e mangiare in modo sano: “si calcola che l’italiano medio getta circa il 30% di ciò che acquista”, ha detto Fatati. Tornare a fare la vecchia lista della spesa può aiutare a “resistere” alle tentazioni del supermercato ed evita acquisti in eccesso. È anche utile – ha concluso – scegliere frutta e verdura di stagione, pesce azzurro, ridurre il consumo di carne preferendo i legumi.
RIGUARDA 38 LUCANE SU 100, RECORD IN ITALIA – È la Basilicata la regione italiana con la più alta percentuale di donne obese: il 38%, infatti, ha gravi problemi di peso, rispetto a una media nazionale del 22. Per per quanto riguarda gli uomini, invece, il tasso è leggermente inferiore a quello italiano, con 16 casi su cento contro i 18 italiani. I dati sono stati resi noti, in un comunicato, dal presidente dell’Adi, sulla base delle cifre fornite dall’ Istituto superiore della Sanità. Il numero di obesi, ha evidenziato Fatati, è “un vero e proprio paradosso della crisi economica: più gli italiani tirano la cinghia e più ingrassano. Anche in Basilicata è colpa del modo di fare la spesa, che tiene conto più dello scontrino che della salute”.
USA – L’ultima minaccia alla sicurezza nazionale: l’obesità
Stiamo diventando una nazione troppo cicciona per difenderci?
Pare incredibile, ma questi sono i fatti: nel 2005, almeno 9 milioni di giovani adulti – il 27 per cento di tutti gli americani in età tra i 17 ed i 24 – erano troppo in sovrappeso per il servizio militare, secondo l’analisi dell’Esercito dei dati a livello nazionale. E da allora, questi numeri così elevati sono rimasti sostanzialmente invariati.
I dati dei Center for Disease Control and Prevention (centri per la prevenzione ed il controllo delle malattie) mostrano tassi di obesità tra i giovani adulti drammaticamente in aumento in tutta la nazione. Dal 1998 al 2008, il numero degli Stati che riferiscono il 40 per cento o più dei giovani adulti in sovrappeso o obesi è aumentato da uno a 39.
Mentre altri fattori significativi possono trattenere la nostra gioventù dall’entrare nelle Forze Armate – come ad esempio l’esser privi di un diploma di scuola superiore o l’avere dei precedenti di forme gravi di criminalità – l’essere in sovrappeso o obesi è diventata la principale ragione medica per riformare le reclute.
Dal 1995 la percentuale di potenziali reclute che non hanno superato gli esami fisici a causa di problemi relativi al peso è aumentata di quasi il 70 per cento, secondo i dati riportati dalla Division of Preventive Medicine (divisione di medicina preventiva) presso il Walter Reed Army Institute of Research (istituto di ricerca dell’esercito “Walter Reed”).
Consideriamo questo problema così grave dal punto di vista della sicurezza nazionale che abbiamo associato più di 130 altri generali, ammiragli e comandanti militari di alto livello in pensione nell’invitare il Congresso ad approvare una nuova legge sull’alimentazione infantile.
Quello che i bambini mangiano e bevono durante le ore scolastiche costituisce fino al 40 per cento del loro consumo giornaliero di nutrimento. Adeguatamente gestito, l’ambiente scolastico può essere determinante nel promuovere abitudini alimentari sane tra i nostri bambini.
Ricercatori provenienti dalla Rice University e dalla University of Houston hanno annotato sulla rivista Health Affairs di marzo che aumentare la partecipazione nei programmi federali di nutrizione “potrebbe essere lo strumento più efficace da utilizzare nella lotta contro l’obesità nei bambini poveri”.
Come nazione, dobbiamo fare il passo successivo. I nostri distretti scolastici hanno bisogno delle risorse per offrire ai nostri bambini più verdure, più frutta e più cereali integrali, così come prodotti con meno zucchero, sodio, grassi e calorie nelle mense e nei distributori automatici. Sì, questo significa aumentare i finanziamenti per i programmi di alimentazione infantile. Ma con la nostra spesa nazionale di almeno 75 miliardi dollari l’anno per spese mediche legate all’obesità, pensiamo che questo passo pagherà nel lungo termine.
Noi esortiamo il Congresso ad approvare un vigoroso progetto di legge sull’alimentazione infantile che:
– Tenga il cibo spazzatura e le altre bevande ipercaloriche fuori delle nostre scuole con l’adozione di nuovi standard, basati sulle ultime ricerche su cibi e bevande venduti o serviti nelle nostre scuole. Le norme per i pasti scolastici sono vecchie di 15 anni. Hanno chiaramente bisogno di essere aggiornate.
– Sostenga la proposta dell’Amministrazione di un aumento di miliardo di Dollari all’anno per 10 anni per i programmi di nutrizione infantile che migliori gli standard di alimentazione, la qualità dei pasti serviti nelle scuole e che permetta ad un maggior numero di bambini di avere accesso a questi programmi.
– Sviluppi strategie basate sulla ricerca, attuate attraverso le nostre scuole, che aiutino i genitori ed i bambini ad adottare un’alimentazione più sana e le abitudini a fare moto per tutta la vita.
Quando la National School Lunch Act (legge nazionale sulla refezione scolastica) fu approvata nel 1946, è stata vista come una questione di sicurezza nazionale. Molti dei nostri capi militari hanno riconosciuto che una cattiva alimentazione è un fattore significativo che riduce la massa dei candidati qualificati per il servizio militare.
Il nostro Paese si trova ad affrontare un’altra grave crisi sanitaria. I tassi di obesità minacciano la salute generale dell’America e la forza futura delle nostre Forze Armate. Dobbiamo agire, come facemmo dopo la seconda guerra mondiale, per garantire che i nostri figli possano un giorno difendere il nostro Paese, se fosse necessario.
Il Generale in pensione dell’Esercito degli Stati Uniti Gen. John M. Shalikashvili ha prestato servizio come presidente dello Stato Maggiore Congiunto dall’ottobre del 1993 al settembre del 1997. Il Generale in pensione dell’Esercito degli Stati Uniti Gen. Hugh Shelton ha prestato servizio come presidente dello Stato Maggiore Congiunto dall’ottobre del 1997 al settembre del 2001. Entrambi sono nel consiglio consultivo esecutivo di Mission: Readiness (missione: prontezza), un’organizzazione senza scopo di lucro di ex capi militari di alto livello.
John M. Shalikashvili e Hugh Shelton
Traduzione per EFFEDIEFFE.com a cura di Pierpaolo POLDRUGO
Fonte > Washington Post
40% italiani vorrebbe dieta sana ma non ci riesce
Rapporto Censis/Coldiretti, gli anziani i più ligi a tavola salutista. Lo spuntino, un must
ROMA, 19 MAG – Ansa -Vorrei mangiare più sano ma non ci riesco, è questa l’affermazione che descrive al meglio il rapporto con il cibo del 37% degli italiani (quasi 4 italiani su 10), quota che sale al 40,5% tra i 30-44enni, ad oltre il 40% tra le donne e sopra il 43% tra le casalinghe. È quanto emerge dal primo rapporto Coldiretti/Censis sulle abitudini alimentari degli italiani dal quale si evidenzia che i ‘frustrati’ sono in numero superiore al quasi 33% degli italiani che dichiara di seguire una dieta sana “perché l’alimentazione è tra i fattori importanti per la salute”, e sono soprattutto gli anziani (40,3%) e i laureati (37,6%) a praticare questa tendenza salutista. Che l’equilibrio a tavola sia ancora lontano dall’essere raggiunto nelle famiglie del Bel Paese lo dimostra il fatto che il 43% degli italiani risulta sovrappeso, quando non obeso (11%). Informarsi sul cibo – continua il rapporto Coldiretti/Censis – per gli italiani è sempre più importante; infatti, quasi il 62% degli intervistati si dichiara “molto informato sui valori nutrizionali, le calorie e i grassi riguardanti i vari alimenti”. Il 34% degli intervistati ritiene che la propria alimentazione dipenda in via prioritaria da caratteristiche e scelte soggettive, il 30,4% dalla tradizione familiare, e poco meno del 19% “da quello che si può permettere”. Quanto alle principali fonti di informazione sugli alimenti, oltre alla televisione, è il web (51,1%) la fonte primaria. Seguono quotidiani, settimanali e periodici (34%), poi i familiari e gli amici (25,5%) e il 25,6% ricorre invece ai negozianti e al personale del punto vendita. “Dal rapporto – commenta il presidente di Coldiretti Sergio Marini – emerge una importante segmentazione dei comportamenti, con oltre 1/3 degli italiani che riconosce il valore dell’alimentazione e si comporta di conseguenza, 1/3 che per stile di vita, tentazioni e stress, pur consapevole, non riesce a comportarsi correttamente e 1/3 che non è attento alla tavola per mancanza di conoscenza”. “Su quest’ultimo segmento – conclude Marini – occorre responsabilmente lavorare in un Paese come l’Italia che non può più permettersi di dare per scontata la qualità del cibo portato in tavola come avveniva nel passato, quando gli effetti della globalizzazione non erano così rilevanti”.
SPUNTINO UN MUST PER ITALIANI, PASTA RESISTE A PRANZO – Due italiani su tre non rinunciano allo spuntino, che si fa spazio tra il pranzo e la cena nelle abitudini degli italiani. È quanto emerge dal primo rapporto Coldiretti/Censis sulle abitudini alimentari degli italiani dal quale si evidenzia che il 62,3% degli italiani si prende il suo break alimentare alla mattina, il 63,8% al pomeriggio e il 52,2% sia alla mattina che al pomeriggio. A fare lo spuntino sono soprattutto le donne, i giovani, i single e i residenti al Sud- isole. Frutta, yogurt, cracker e, al mattino, anche cornetto, brioche e merendine, sono gli alimenti che più compongono gli spuntini. Con l’affermarsi dello spuntino – prosegue il rapporto – tendono ad assomigliarsi il pranzo e cena, con la pasta unica differenza evidente, molto più presente sulle tavole degli italiani a pranzo rispetto alla cena. Posto pari a sette per ogni settimana il numero di pranzi, la frutta, il pane e la verdura sono presenti 5 volte su sette, la pasta 4,6 volte su sette, la carne 3 volte su sette, il dolce è sulla tavola per due pranzi a settimana, così il riso e il pesce. Tra le bevande, invece, il vino è presente in poco meno di 3 pranzi settimanali, le bevande gassate meno di 2 volte, la birra poco più di una volta a settimana. Le cene hanno caratteristiche non molto diverse dai pranzi, perché per cinque volte a settimana gli italiani dichiarano di mettere in tavola la verdura, la frutta e il pane; meno presenti sono la carne (2,8 su 7), la pasta (2,5), il pesce (meno di due volte), il dolce (anche questo meno di due volte) e il riso (1,6 volte). Vino, bevande gassate e birra sono presenti con la stessa intensità che a pranzo. Il pane risulta comunque sempre molto gettonato – conclude il rapporto – in 17 milioni lo mangiano 7 giorni su 7, i patiti per la pasta, comunque e sempre nella settimana, sono invece 1,2 milioni, 14,7 milioni quelli che mangiano sempre verdura, 20,3 milioni quelli che mangiano sempre frutta fresca, 500 mila la carne e 820 mila il dolce.
ITALIANI SCELGONO CUCINA RAPIDA,70% COMPRA SURGELATI – Vanno di fretta gli italiani in cucina e perciò acquistano per il 69,6% prodotti surgelati, e per 58,7% scatolame, mentre un 41,4% non rinuncia alla qualità di prima mano e va a fare gli acquisti direttamente dal produttore. I dati emergono dal rapporto Coldiretti/Censis sulle abitudini alimentari degli italiani. Questo non significa – sottolinea la ricerca – che il consumatore segua uno schema ‘monolitico’ di alimentazione, ma si sceglie piuttosto un carrello personalizzato di alimenti per cui il surgelato convive benissimo con il prodotto Dop e Igp. Per esempio, tra quanti acquistano regolarmente prodotti a denominazione, il 77,7% acquista anche surgelati in modo regolare e, tra quanti acquistano regolarmente prodotti dell’agricoltura biologica, il 73% acquista anche surgelati. “I cittadini vogliono cibo sicuro, di qualità e al giusto prezzo – osserva il presidente di Coldiretti Sergio Marini commentando la ricerca -. La richiesta di prodotto legato all’identità territoriale è forte e questo tipo di agricoltura é quella che avrà un futuro in tutto il mondo. Tutti quelli che si adoperano per smantellare questo tipo di agricoltura perderanno, perché il consumatore vuole il cibo del territorio”.
IN 60 ANNI +300% CARNE E 1/3 IN MENO VINO – Dal dopoguerra ad oggi gli italiani hanno modificato profondamente la loro dieta, come dimostra l’aumento del 300% dei consumi di carne che si è verificato negli ultimi 60 anni, mentre il consumo di vino si è ridotto di oltre un terzo. È quanto afferma la Coldiretti nel sottolineare che è aumentato in modo massiccio anche il consumo di frutta e verdura, mentre, oltre al vino sono in calo i consumi di pasta e pane. Il cambiamento – sottolinea la Coldiretti – ha riguardato anche gli aspetti qualitativi dell’alimentazione come il passaggio dalla pasta fatta a mano a quella industriale, la crescita della carne bovina rispetto a quella di pollo, l’arrivo di nuove varietà di frutta come il kiwi negli anni ’80, l’affermarsi dell’extravergine di oliva nei confronti del lardo e strutto presenti a nord dal dopoguerra e del successivo boom della margarina. Negli ultimi 60 anni sono aumentate – continua la Coldiretti – del 56% le chilocalorie consumate mediamente al giorno dagli italiani. Profondi cambiamenti si sono verificati – precisa la Coldiretti – anche dal punto di vista economico, con una progressiva riduzione dell’incidenza della spesa alimentare sui consumi totali degli italiani che è passata dal 45% del 1950 al 15% del primo decennio del ventesimo secolo. In questo ultimo periodo, secondo il rapporto Censis/Coldiretti, cresce l’attenzione alla qualità, alla sicurezza e all’impatto eco sociale. “Una tendenza alla quale – commenta Coldiretti – è in grado di rispondere l’agricoltura italiana che dal dopoguerra è diventata leader a livello internazionale sul piano qualitativo, ambientale e sanitario. L’agroalimentare Made in Italy ha conquistato nel 2009 la leadership nei prodotti tipici in Europa con 202 riconoscimenti, il maggior numero di imprese biologiche e il primo posto nella sanità e nella sicurezza alimentare, con un record del 99% di campioni con residui chimici al di sotto dei limiti di legge”.
http://www.corriere.it/salute/nutrizione/11_dicembre_20/troppe-calorie-tavola_cbeab7fa-2a3e-11e1-88bd-433b1e8e4c01.shtml
Finalmente arriva anche la “scienza”
Studio dell’Università Cattolica di Roma
Mangiare un terzo in meno mantiene giovane il cervello
Trovata molecola anti-invecchiamento. Si attiva con poche calorie
Di Mario Pappagallo
MILANO – Troppe calorie nel menu quotidiano “invecchiano” anche il cervello. Insomma, studio dopo studio la scienza conferma che il segreto di lunga vita in buona salute è proprio nello stile di vita a tavola. Ed è stata scoperta addirittura una molecola che protegge i neuroni dall’invecchiamento. Una molecola attivata proprio se si mangia meno. Quanto meno? Oggi si può dire: un 30 per cento delle calorie vanno lasciate nel piatto. Quasi un terzo di quelle consigliate come normali in base al tipo di attività che si svolge. In altre parole, chi deve assumere 2.000 calorie le riduce a 1.400. E questo è già stato individuato da studi precedenti (pubblicati su Science e Nature): quelli che hanno collegato la longevità cellulare a una dieta ipocalorica.
LA MOLECOLA – La molecola anti-aging cerebrale l’hanno scovata ricercatori italiani. Dell’università Cattolica di Roma. La molecola si chiama Creb1, viene attivata da una dieta a basso contenuto calorico e funziona da direttore d’orchestra accendendo altri geni importanti per la longevità e per il buon funzionamento del cervello. Lo studio è stato condotto dall’équipe di Giovambattista Pani, dell’Istituto di Patologia generale diretto da Achille Cittadini, in collaborazione con l’équipe di Fisiologia umana guidata da Claudio Grassi. Ed è stato pubblicato su Proceedings of the national academy of sciences Usa (Pnas). «L’obiettivo ora – commenta Pani – è trovare il modo di attivare Creb1, per esempio attraverso nuovi farmaci, anche senza doverci sottoporre a una dieta ferrea. La restrizione calorica è stata per noi più che altro un espediente sperimentale per scoprire e accendere un circuito protettivo del cervello che coinvolge Creb1 e altri geni responsabili della longevità, le sirtuine (Sirt)».
OBESITÀ E INVECCHIAMENTO – In verità l’osservazione, negli ultimi anni sempre più avvalorata da numerosi risultati sperimentali, aveva già collegato l’obesità ad un rallentamento e ad un invecchiamento precoce delle funzioni del cervello. Così come avviene con malattie tipiche della terza età, dalla demenza senile al Parkinson. Al contrario, la restrizione calorica (nella giusta misura) mantiene giovane il cervello. Lo rende più attivo. Ma i “pulsanti” molecolari che governano gli effetti positivi della dieta sul cervello erano finora ignoti. La molecola individuata dal gruppo di scienziati della Cattolica apre più di uno spiraglio.
DIVERSE FUNZIONI – Non a caso Creb1 regola normalmente importanti funzioni cerebrali come la memoria, l’apprendimento e il controllo dell’ansia. E la sua attività diminuisce, o viene compromessa, proprio dall’età che avanza. «I neuroni – spiega Grassi – comunicano tra loro mediante giunzioni specializzate, le sinapsi, la cui funzione è essenziale non solo per la trasmissione delle informazioni nelle reti neurali, ma anche per il loro immagazzinamento (formazione dei ricordi). La corretta funzione delle sinapsi è, quindi, determinante per l’apprendimento e la memoria. Mente le alterazioni delle sinapsi sono alla base del declino cognitivo che si osserva nella malattia di Alzheimer e in altre forme di demenza. La restrizione calorica, come abbiamo visto e dimostrato, potenzia la capacità delle sinapsi di memorizzare le informazioni. Tale azione benefica è proprio mediata da Creb1». In topi in cui è stata bloccata Creb1 nelle aree cerebrali deputate alle funzioni cognitive, i benefici della restrizione calorica sul cervello (miglioramento della memoria, eccetera) non si verificano. L’animale, nonostante la dieta, presenta gli stessi deficit dell’animale supernutrito. È la prova del 9.
Ferdinando Donolato