Mais (Zea Mays), legato a Saturno.
Saturno ha affinità con il minerale Piombo.
Organi umani legati a Saturno: milza, scheletro, midollo osseo.
In questo segno troviamo la croce che significa materiale – terreno e l’arco che parte dalla parte bassa della croce che “la sostiene” (si può vedere che ha la curva verso destra). In questo caso “l’invisibile” è subordinato alla materia, ma con l’arco che la forma e la appoggia. Saturno agisce sulla vita partendo dall’inorganico, da ciò che vuole mineralizzarsi, diventare duro scheletro. Saturno si muove nel cielo con molta lentezza, sembra che si trascini, avanzando con molta fatica. Saturno è raffigurato molte volte come la morte, con la falce o la clessidra. Eppure la morte significa anche nuova vita. Nel midollo, dove attorno c’è la materia più solida, nasce la vita, nasce il caldo rosso sangue. Nel sangue vive l’Io umano, l’individuale – l’invisibile dell’uomo. Nello scheletro troviamo la culla delle forze individuali dell’uomo. Saturno rappresenta lo star da soli, la rinuncia, anche però la verità e la correttezza. Saturno rappresenta le prove della vita, le difficoltà, ma anche la ragione razionale. Per i greci Saturno era Chronos e ricordo il mito di Crono, il quale divorando i suoi figli impediva ogni sviluppo, rimanendo in questo modo signore assoluto e custode delle leggi. Saturno (anche dopo che sono stati scoperti altri pianeti) rimane il custode della soglia, tra i pianeti e lo zodiaco. I romani lo rappresentavano nella testa di Giano con due volti: uno guarda avanti e l’altro dietro, dove non si sa quale sia quello giusto, ma che significa anche l’inizio (la vita) e la fine (la morte). Questo doppio volto è chiamato anche “uomo di Giano” ovvero uomo di gennaio, gennaio mese del gelo e dell’indurimento. In questo periodo la vita dell’uomo vive un periodo di vita interiore e spirituale: dovendo stare chiuso in casa, ha il tempo di riflettere. Anche il mais è un po’ così. Quando è il momento della raccolta le pannocchie sono avvolte da più foglie di copertura già morte e togliendole una ad una si trova il chicco dorato e vivo.
Il mais o granturco (è stato coniato il nome granoturco, perché all’epoca dell’introduzione in Europa di questo cereale, qualunque cosa nuova, sconosciuta, strana, veniva definita “turca”, perciò grano -turco) è un antico cereale di origine centroamericana, dalla caratteristica grande pannocchia. Nel secolo scorso è stato il cereale tradizionale dei montanari e dei contadini poveri di pianura, che ne utilizzavano la semola per farne il loro unico piatto. Innanzitutto non va sottovalutato l’uso della pannocchia intera, meglio quando è ancora molto piccola e tenera, nelle zuppe, bollita, stufata, come si usa spesso nella cucina cinese. Le piccole pannocchie di 6‑7 cm di lunghezza si mangiano intere, sono tenerissime e gustose. Le pannocchie più grandi, non ancora mature, vanno arrostite sulla brace, una delle varietà più tenere è ottima saltata in padella e “scoppiata” con poco olio a calore forte. Si trasforma nel notissimo “pop‑corn”. Si avrà cura però di salarli con pochissimo sale integrale e di non farli impregnare di olio fritto, perché sarebbero indigesti. Possono essere cotti anche al forno. I pop‑corn fatti in casa sono un’ottima colazione per i bambini (e per gli adulti). È importante che l’olio sia, naturalmente, un buon olio extra-vergine. L’uso migliore del mais resta la polenta gialla o bianca. È possibile, però, cuocere la polenta ‑ contro ogni regola ‑ a fiamma bassa e col coperchio, senza dover rimestare in continuazione: è molto più comodo. Quando l’acqua bolle si versa la farina e si mescola, poi si abbassa la fiamma e si mette il coperchio, ogni tanto si mescola e si controlla, per una buona cottura ci vogliono almeno 45 minuti. Versata sul tagliere, la polenta verrà tagliata a fette quando sarà ben rappresa, col filo di canapa o con una spatola di legno, secondo l’efficiente tradizione contadina. Le differenze tra la polenta di granoturco di ieri e quella di oggi sono molte. Oggi è facile trovare nei negozi di prodotti biologici la semola integrale. La polenta può essere servita in un piatto unico come nella tradizione contadina e quindi fornita di proteine e grassi (formaggi, uova, latte ecc.). Solo i poveri una volta la mangiavano da sola e, usando la peggiore qualità, andavano incontro a disturbi anche gravi, come la pellagra. Soltanto nella provincia di Padova, nel 1903, si contavano 22.800 malati di pellagra. Erano anni in cui, a causa della crisi agricola, il consumo medio di mais in Italia era arrivato a 68 kg all’anno per abitante. È bene ricordare che la pellagra (disturbi della pelle, digestivi e nervosi) insorge per carenza grave di vitamina PP, una vitamina abbastanza comune nei cibi animali, in molti ortaggi e cereali. Come mai chi mangiava mais ne era carente, anche se il mais ne contiene 1,9‑2,1 mg (inn-fao – circa quanta la pasta)? In realtà il mais non ne è carente, ma la vitamina PP del mais non è assimilabile direttamente perché è neutralizzata da una antivitamina nota come niacinogeno. Accade perciò che chi si nutre soltanto di polenta di mais finisce per andare incontro alla pellagra.
I contadini poveri messicani, comunque, per tutelarsi, fanno macerare la farina di mais che serve per le loro tortillas (ne mangiano anche cinquanta al giorno per persona) in acqua di calce come facevano gli Aztechi. In tal modo l’antivitamina è distrutta e la vitamina PP del mais può essere utilizzata. Il mais è ricco di trigonellina, che è un precursore della vitamina PP. La tecnica indigena del bagno in acqua di calce (sconosciuta evidentemente ai colpiti da pellagra in Europa) permette contemporaneamente di trasformare la trigonellina in vitamina PP e di rendere biodisponibile l’aminoacido lisina del mais, evitando così la pellagra. Che tipo di alimento è il mais? Al contrario di quanto si crede è più energetico e calorico del frumento (355 kcal, rispetto alle 314 kcal del grano duro e alle 319 kcal del grano tenero). La semola dà in media ben 365 kcal. Col suo 9,6% di proteine non è un cereale molto proteico: tra i cereali europei è superato da tutti tranne che dal riso. La qualità delle sue proteine è scadente (indice chimico INN: 40); la zeina infatti è non solo povera di lisina, come tutti i cereali, ma anche di triptofano, che guarda caso è sempre collegato alla vitamina PP, molto scarsa nel mais. Il mais è abbastanza ricco di grassi (5,1%) e di amidi (73g di carboidrati disponibili). È dotato di molto ferro (3,3mg), di poco calcio (30 mg), di molto fosforo (283mg), che però è per lo più acido fitico antisalino. Ha potassio (292mg), magnesio (120mg), zolfo (28mg), cloro (80mg), sodio, zinco (2,5mg), iodio (2mg), fluoro (0,7mg). Tra le vitamine, unico cereale, contiene anche la A (46‑67mcg), ma soltanto se è di varietà gialla. Ha 0,28mg di B1, 0,09mg di 132, 2,1mg di PP, 1,7mg di B6, 9,5mg di E e tracce di K. E moderatamente dotato di fibre grezze (2,4g: un po’ meno del grano duro e un po’ più del grano tenero). La selezione genetica ha ormai modificato totalmente il piccolo chicco giallo d’un tempo. Oggi si contano decine di varietà di mais, adatte a tutti gli usi dell’industria alimentare, a seme piccolo o grande, bianco o giallo, tenero o duro, amidaceo o zuccherino ecc. E ormai è un cereale meno armonico di altri, più povero di vitamine B e di triptofano. Il mais rustico aveva anche la vitamina B12, che le varietà moderne non hanno. Tuttavia, in uomini alimentati a base di mais, è stata riscontrata una diminuzione di secrezione dell’ormone della crescita, oltreché un maggior rischio di cancro all’esofago. Anche il mais ha il suo lato nascosto. Una relazione di D.G. Lindsay del ministero dell’Agricoltura inglese ha rivelato nel mais intero dei silos o sgranato una strana presenza di ormoni sessuali. Si tratta dei RAL, ovvero di alcune molecole di lattoni dell’acido beta‑resorcilico con attività simile all’estradiolo, noto ormone sessuale. Questi estrogeni naturali sono elaborati da misteriosi miceti (funghi) microscopici. Per esempio, lo zearalenone del mais è prodotto dai Fusarium, mentre un altro estrogeno, lo zeranolo, si produce durante le fermentazioni industriali. Quanto ce n’è? La quantità è diversa a seconda dell’origine. In Francia ben l’82% dei campioni di mais analizzati contiene i RAL, fino a 170mg/kg. In Ungheria da 70 a 80mg di RAL per chilogrammo. Negli USA, invece, i valori sono molto più bassi: solo dall’1 al 17% dei campioni, con concentrazioni da 0,1 a 10,4mg/kg. Ingenti insieme al mais questi estrogeni potrebbero causare alterazioni sulla riproduzione solo superando 0,1‑1mg per chilogrammo di peso del consumatore. Per via orale, comunque, i RAL sono poco attivi: da 100 a 1000 volte meno dell’estrone e dell’estradiolo. Insomma, quegli stessi anabolizzanti che condanniamo negli atleti o nei bovini di allevamento, ce li troviamo ‑ in versione naturale ‑ nel piatto di mais e anche in altri cereali e vegetali. Si ritiene che in una dieta vegetale l’uomo ne introduca col cibo 5000 nanogrammi, in una mista vegetali‑carne 5200 nanogrammi, in una lacto‑vegetale 7000 nanogrammi di RAL. Sono, per fortuna, valori inferiori di 500 volte a quelli rischiosi per la salute. Il colore giallo dei chicchi di mais non è dovuto soltanto al beta‑carotene (la provitamina A) ma anche a un colorante noto come zeaxantina. E questa l’origine del bel colore arancio scuro del tuono delle uova di galline allevate a granturco. Nelle uova naturali, quindi, il passaggio è diretto: mais‑gallina‑uovo. La gallina sana e ruspante, poi, fa uova ricche anche di beta‑carotene. Come si è visto a proposito dei cereali in generale, anche il mais contiene sostanze antiproteiche, tra cui antienzimi anticancro (antitripsina e antichimotripsina). È il terzo cereale per contenuto di fitina o acido fitico (146‑353mg), pari al 52‑97% del fosforo totale, poco neutralizzata dall’enzima fitasi, molto scarso. È sconsigliato come alimento di resistenza esclusivo per le sue note carenze vitaminiche. Non può competere con il frumento e neanche con gli altri cereali d’uso comune in Europa e in Nord America. Se molto ben cotto, soprattutto in polenta, si digerisce facilmente e può essere quindi un saporito primo piatto, di tanto in tanto. Come tutti gli altri cereali, si adatta a essere consumato da tutti, in ogni clima e in ogni stagione, soprattutto se ben complementato nel medesimo pasto da alimenti ricchi di lisina e di vitamina PP disponibile (quindi legumi).
In terapia naturale il mais è un rimedio secondario. È probabilmente un blando moderatore della tiroide, adatto a rallentare il metabolismo. Secondo la più affermata fitoterapia clinica il mais, al contrario dell’avena, diminuisce la secrezione degli ormoni nella tiroide e può essere prescritto agli ipertiroidei e ai reumatici. Le prove scientifiche delle eventuali altre proprietà terapeutiche o preventive del mais sono scarse. La sua carenza di lisina, anche in rapporto all’arginina, ne fa un alimento tendenzialmente anticolesterolo. Inoltre, è stato notato che l’ingestione di mais, come quella del riso, causa variazioni meno rapide del tasso di glucosio del sangue rispetto ad altri cereali e amidacei (frumento e patate), il che può essere interessante per i diabetici e i soggetti a rischio glicemico, ma può aiutare anche a stabilizzare il rifornimento di zucchero al cervello come fonte energetica. La tolleranza al glucosio è per di più accresciuta dalla presenza di cromo nel mais integrale, come in altri cereali. In fitoterapia, gli stili dei fiori femminili del mais, popolarmente noti come “capelli di formentone” o “barba di melega”, contengono vari principi attivi, come acido salicilico (analgesico), vitamina K (antiemorragica), saponine, steroli (sitosterolo e stigmasterolo), allantoina, betaina, acidi grassi, tannino. Hanno quindi effetto diuretico ed eliminano acido urico e fosfati, sono sedativi nelle affezioni delle vie urinarie.
Ferdinando Donolato